«Io non voglio vedere su un palcoscenico ciò che posso vedere per strada, o sul mio pc, io
voglio essere trasportato in un sistema di pensiero differente, non in quello dell’oggi in cui sono
immerso; io voglio che il teatro mi regali un’altra prospettiva».
(Peter Stein)
Viviamo in un periodo storico straordinario, tristemente inquieto, fatto di guerre visibili e invisibili, disagi post pandemici, emergenze climatiche e ambientali, migrazioni inevitabili. La retorica sulla cultura come mezzo per creare sviluppo economico rischia di far perdere il valore primo e più importante che la cultura stessa porta con sé: quello del dialogo, del dare un senso alle nostre esistenze, del costruire ponti.
La cultura è una componente indispensabile del welfare e per tanto vanno messi da parte alcuni standard quantitativi cari agli economisti specialisti del settore, per abbracciare e mettere in primo piano quegli aspetti qualitativi che possano realmente tradursi nel miglioramento delle vite delle nostre comunità. Si può con il giusto coraggio, visionarietà e passione per il proprio lavoro sfatare i luoghi comuni che soffocano il sistema teatrale italiano. Un sistema che soffre di una estrema fragilità compositiva e drammaturgica. In gran parte della produzione teatrale si avverte un vero spaesamento formale e di contenuti. I produttori di spettacolo accettano spesso
meccanicamente di essere imprigionati in un groviglio burocratico, in cambio di sostegni economici e misure di protezione del mercato. Sono purtroppo gli effetti di quel peccato originale che accompagna da decenni tutto il sistema teatrale nel nostro paese, una dinamica tutta italiana, la “camaraderie” che affligge gli addetti ai lavori.
Anche per questo motivo (mancanza di vere e importanti novità) molti festival chiudono o sono destinati a chiudere.
Non è solo una questione di fondi, è anche una questione di orientamento nelle scelte. Il Castel dei Mondi, in una città di provincia senza un teatro da più lustri, se ha raggiunto 27 edizioni è perché ha saputo raccogliere nel tempo la sfida dei contenuti e rilanciare in modo sorprendente, più lungimirante e contemporaneo rispetto ad altre realtà nazionali, magari più ricche ma assai più sterili. Nell’epoca della socializzazione di massa non bisogna abdicare alla funzione storica che il teatro e le arti hanno da sempre assunto, cioè quella di trasmettere al pubblico e agli spettatori quei codici di lettura che servono a comprendere la complessità della società attraverso l’emozione, l’imprevedibilità. Il Castel dei Mondi, deve continuare ad esercitare il suo ruolo storico, che è quello di far percepire le differenze. Per questo, progettare un festival può essere considerato un lavoro assimilabile a quello di un artigiano, non certo traducibile in una check list da osservare freddamente. Per ottenere questo sono necessari alcuni elementi fondamentali:
• la fiducia nelle persone con cui si deve collaborare per creare una visione condivisa, essere disposti all’ascolto dei territori per comprenderne le forme e le aspettative;
• la curiosità di uscire dal proprio territorio per esplorarne altri sconosciuti, per rifuggire dall’ovvietà, dal “deja vu”;
• il coraggio e la onestà intellettuale di perseguire le proprie linee di pensiero, non abbandonando il confronto dialettico con tutte le componenti del territorio;
• il provocare connessioni tra mondi diversi, disponibili ad avvicinarsi e a incrociarsi tra di loro per dare vita a un progetto compiuto.
“A cercar bene ci sono luoghi sani, costruiti con amore, in cui si investe con coraggio
in visioni coraggiose. Luoghi dove gli spettatori, luoghi dove i conti li fai col pubblico
davvero e non con questi gestori di discariche dello spettacolo. Oggi ci vuole più
coraggio di quel che noi stessi crediamo di avere.”
Ecco, il Castel dei Mondi deve continuare a rappresentare tutto questo per i prossimi anni. Un
Festival che si apre al mondo, getta i semi della speranza, della resistenza e della tolleranza.